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19 Dicembre, 2023

A chiusura della Conferenza delle Parti, ospitiamo l’intervento di Irene Ghaleb, che collabora con JPS sui temi della sostenibilità. Irene è Project Manager per la Fondazione Finanza Etica e Vicepresidente di Change for Planet ed ha partecipato alla recente COP 28 di Dubai.

Quest’anno la Conferenza delle Parti è stata oggetto di dibattito più che mai. Nonostante la sua posizione di piattaforma cruciale per la collaborazione globale da oltre tre decenni, i negoziati e le decisioni inerenti ai cambiamenti climatici quest’anno sono stati offuscati da una serie di controversie. Tuttavia, per la prima volta nella storia degli accordi globali, si è menzionato esplicitamente il ruolo dei combustibili fossili come principale fronte di battaglia da affrontare.

La natura della Conferenza delle Parti (COP) e i suoi meccanismi operativi.

La Conferenza delle Parti (COP) è l’organo decisionale supremo della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC). Si articola in un incontro annuale in cui rappresentanti di paesi di tutto il mondo si riuniscono per discutere e negoziare azioni riguardanti i cambiamenti climatici. La vera sfida della COP è affrontare interessi divergenti tra le nazioni, barriere finanziarie e tecnologiche, e l’urgenza di agire rapidamente ed efficacemente nel combattere i cambiamenti climatici. L’obiettivo principale della COP è valutare e riesaminare l’attuazione dell’UNFCCC e negoziare ulteriori azioni per combattere i cambiamenti climatici, mirando a promuovere la cooperazione internazionale e azioni coordinate tra le nazioni.

Partecipano alla Conferenza i rappresentanti eletti dei paesi membri, organizzazioni osservatrici, ONG e altre parti interessate. Prima dell’inizio ufficiale dei negoziati si tiene la Pre-COP, ovvero incontri preparatori, in cui vengono redatti testi negoziali e vengono discussi problemi. Durante questi incontri viene decisa anche l’agenda ufficiale della COP.

La durata è complessivamente di due settimane con un solo giorno di pausa. Tutti i rappresentanti delle parti si riuniscono in sessioni plenarie. Queste sessioni comprendono discussioni, negoziati e decisioni su vari aspetti dei cambiamenti climatici, inclusi mitigazione, adattamento, finanziamenti, trasferimento di tecnologie e sviluppo di capacità. Nelle plenarie i paesi negoziano accordi, decisioni e risoluzioni su questioni chiave. Questi negoziati coinvolgono spesso molteplici round di discussioni, con vari blocchi e alleanze che difendono i rispettivi interessi. Le decisioni sono prese per consenso tra le parti partecipanti. Tuttavia, se non si raggiunge un consenso, potrebbe essere utilizzato un voto a maggioranza. Una volta raggiunti gli accordi, vengono adottati e formalizzati come decisioni o risoluzioni della COP. Ciò potrebbe includere nuovi impegni, obiettivi, piani d’azione o quadri per l’attuazione.

Al concludersi dei negoziati ci si aspetta che i paesi seguano i loro impegni e attuino le decisioni prese. I progressi vengono controllati da meccanismi di rendicontazione per monitorare i progressi, e riportati pubblicamente agli incontri successivi al fine di riesaminare e valutare le azioni intraprese.

La Conferenza delle Parti numero 28

A Dubai dal 30 Novembre al 13 Dicembre 2023 si è tenuta la ventottesima conferenza mondiale sul clima (COP28) promossa dalle Nazioni Unite. La conferenza sul clima ospitata dagli Emirati Arabi, uno dei paesi leader nella estrazione di greggio, è da subito sembrato un ossimoro. Su tutti i principali giornali del mondo echeggiava la sconfitta del negoziato ben prima che iniziasse. Il Dr Sultan Ahmed Al Jabar (petroliere, CEO di Adnoc) al comando della Conferenza per quest’anno ha dichiarato il suo totale impegno nel riuscire a raggiungere dei risultati storici ma ovviamente non è stato creduto. Il suo motto dal primo giorno è stato: “Dobbiamo farcela. Dobbiamo unirci. Dobbiamo agire e dobbiamo consegnare risultati.”

Nonostante il cinismo, la COP28 ha attirato quasi 90.000 partecipanti, diventando così la conferenza più partecipata di sempre. Il primo giorno, il 30 Novembre, Al Jabar ha aperto il sipario con un colpo di scena tipico di chi vuole i riflettori puntati. In questo caso l’obiettivo principe era dimostrare che questo negoziato non sarebbe stato un fallimento e che risultati della COP28 sarebbero stati fin dal primo giorno operativi.

L’attivazione del fondo perdite e danni (loss and damage), approvato nel giro di ventiquattro ore mettendo d’accordo quasi duecento nazioni, ha spiazzato tutti. Il fondo verrà attivato e gestito, per i primi anni, dalla Banca Mondiale e non dall’Onu come inizialmente proposto. Nonostante la raccolta di oltre 700 milioni di dollari, lontani dai 400 miliardi richiesti dai paesi in via di sviluppo, è comunque un risultato tangibile e migliorabile. Ciò che ci aspettiamo con l’istituzione del fondo è quello di risarcire le perdite e i danni patiti dai paesi che sono meno responsabili del riscaldamento globale ma che ne subiscono i suoi danni peggiori.

Nonostante questo obiettivo raggiunto, all’interno della COP non sono mancate le proteste giornaliere. La preoccupazione è alta visto che le temperature globali stanno aumentando a un ritmo senza precedenti. Gli ultimi otto anni sono stati i più caldi mai registrati. Oltre al caldo possiamo ormai percepire un aumento della frequenza e della complessità degli eventi meteorologici estremi. Il quadro è allarmante e comprende ogni angolo della terra per questo la richiesta di azione è più urgente che mai.

Tra attesa e i risultati

Le negoziazioni si sono susseguite rapidamente, con una approvazione dopo l’altra di accordi basati su impegni economici, senza un vero e proprio rispetto delle giornate tematiche. Il contenuto dell’accordo rispecchia tale caratteristica, poiché i temi affrontati sono stati circoscritti, trascurando quelli legati alla finanza e all’inclusione sociale.

La COP doveva chiudersi Martedì 12 dicembre, giorno in cui è uscita una prima bozza totalmente deludente. Le parti hanno dunque accordato un allungamento dei negoziati che si sono prorogati fino al giorno seguente.

Malgrado alcune lacune, al termine di due settimane di negoziati, i governi convenuti alla ventottesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite hanno ratificato il primo Global Stocktake. Si tratta del documento quinquennale che valuta quanto è stato realizzato per adempiere all’Accordo di Parigi e identifica le azioni necessarie per allinearvisi in futuro. Più di 190 nazioni hanno accettato un accordo che invita il mondo a ripensare i modelli odierni per favorire l’eliminazione delle fonti fossili.

Se per giorni ci si è scontrati su due possibilità: phase out (uscita) o phase down (diminuzione), rispetto alle fonti fossili, solo nelle ultime ore è stata trovata una nuova espressione che è riuscita a convincere tutti. Un compromesso che si traduce nelle parole: “transition away”. Un processo di transizione, dunque, che dovrà portare il mondo ad abbandonare gradualmente carbone, petrolio e gas. La scelta di utilizzare la parola “transizione”, naturalmente, può essere interpretata in vario modo. Certamente non chiama con fermezza un addio, ma al contempo appare come qualcosa in più di una “diminuzione”. Inoltre, le azioni elencate nel capitolo dedicato alla riduzione delle emissioni non sono più opzionali come erano nella prima bozza (“Parties could”), bensì obbligatorie (“Parties should”). Il testo sarebbe quindi più virtuoso da un punto di vista degli obblighi internazionali. Certo, un accordo debole rispetto alla completa eliminazione, ma si tratta comunque di un accordo storico che punta il dito contro ciò che non era mai stato nominato e lo ha pronunciato un petroliere. Per decenni, il mondo è stato costretto a evitare l’elefante nella stanza: i combustibili fossili. I paesi produttori di petrolio non avevano mai acconsentito prima d’ora a parlare di clima in questi termini, rifiutando di consentire trattati legalmente vincolanti che facessero esplicito il collegamento con le fonti fossili.

L’effettivo impatto di questa decisione dipenderà, ovviamente, dalla velocità e dalla serietà di tale processo di transizione. Il fulcro del Global Stocktake risiede nell’articolo 28, il quale accompagna la transizione con l’indicazione di «triplicare la potenza installata di energie rinnovabili e raddoppiare il ritmo di miglioramento dell’efficienza energetica entro il 2030». Si tratta, forse, della questione meno dibattuta alla Cop28, poiché è apparsa sin dalla prima bozza in discussione ma comunque di rilevante portata.

Con queste decisioni, mercoledì 13 dicembre, Sultan Al Jaber ha chiuso il sipario in un minuto, con l’ennesimo colpo di scena. In plenaria ha elogiato i delegati al vertice climatico che hanno preso parte alle due settimane di discussioni difficili dichiarando:

“Per la prima volta, viene riconosciuta la necessità di abbandonare i combustibili fossili”.

Non dobbiamo dimenticare, tra gli abbracci e gli applausi, le espressioni di gioia e sollievo, che Adnoc, la compagnia petrolifera di Al Jaber sta tuttora progettando un massiccio aumento della capacità di produzione, così come fanno le compagnie petrolifere dei principali paesi produttori di greggio. Ma Al Jaber ha ottenuto ciò che nessun’altra presidenza della COP ha mai fatto: portare gli Emirati Arabi, e gli stati limitrofi, al tavolo per concordare una transizione lontano dai combustibili fossili.

Come mai l’azione è più urgente che mai? Prospettive oltre la COP28

Nel corso del 2023, l’avvicinarsi della Conferenza delle Parti ha acquisito maggiore rilevanza in seguito alla pubblicazione da parte delle Nazioni Unite del bilancio globale sull’attuazione dell’Accordo di Parigi (https://unfccc.int/documents/631600). Questo rapporto ha fornito una panoramica globale e fattuale identificando aree chiave per ulteriori azioni per colmare lacune e affrontare sfide e ostacoli. Fornisce una valutazione dei progressi collettivi verso il raggiungimento dello scopo e degli obiettivi a lungo termine dell’Accordo stabilito nel 2015 a Parigi e informa le Parti su ambiti di aggiornamento e miglioramento delle loro azioni e del supporto, nonché sull’incremento della cooperazione internazionale per l’azione climatica. Questo rapporto invia il chiaro messaggio: il tempo per limitare il riscaldamento globale sta rapidamente esaurendosi. Senza drastici tagli delle emissioni (si parla di circa il 50 percento entro il 2030), perderemo la strada verso un mondo a +1,5 gradi, dove gli impatti peggiori del riscaldamento globale saranno gestiti con difficoltà. Solo azioni urgenti e a breve termine possono aiutare.

Il rapporto sulla verifica periodica ha inoltre evidenziato il ruolo che il comportamento dei consumatori gioca nella generazione delle emissioni, invitando i paesi a passare a diete sostenibili, a dimezzare le perdite e gli sprechi produttivi e a trasformare almeno i due terzi di tutti i viaggi dei passeggeri in metodi di trasporto privi di combustibili fossili entro il 2030. Per i leader aziendali impegnati a fare la loro parte nel limitare le emissioni, questo solleva importanti questioni sulla sostenibilità dei modelli aziendali che privilegiano una crescita economica immediata e guidata dai consumatori rispetto ai rischi macroeconomici del collasso inevitabile dell’ecosistema. La domanda che dobbiamo porci ad oggi è se è possibile continuare a generare ricavi preservando contemporaneamente il nostro benessere ambientale e sociale a lungo termine.

Oltre ai governi, il maggior potere è nelle mani delle aziende. Queste possano svolgere un ruolo attivo nel sostenere la transizione verso modelli di consumo più sostenibili. Che si tratti della scelta tra prodotti o servizi con minore impatto o della scelta di sostenere un modello aziendale sostenibile, l’obiettivo è invertire la rotta. La richiesta non viene solo dal pianeta terra ma anche dal consumatore che oggi più che mai chiede una produzione a basso impatto. Avere la responsabilità di prendere queste decisioni non significa solo responsabilità e consapevolezza ma anche lungimiranza e strategia aziendale. Sappiamo che oggi, sulla strada che ci separa al 2030 (6 anni) contribuire a ridurre le emissioni di GHG e favorire una crescita inclusiva e sostenibile è una parte vitale della responsabilità aziendale e globale.

La verifica periodica globale è chiara: non possiamo aspettare che un consumo migliore e più sostenibile si evolva organicamente dal normale svolgimento degli affari. Dobbiamo raddoppiare i nostri sforzi per portare soluzioni trasformative ai nostri clienti e partner, guidando circolarità, efficienza e trasparenza attraverso dati di alta integrità, strumenti digitali e incentivi per i consumatori. Ogni azienda, come ogni governo e singolo cittadino ha un ruolo da svolgere. L’adozione di una transizione ecologica è un imperativo che richiede azione immediata, con un senso di urgenza e responsabilità. È una sfida collettiva alla quale ciascuno è invitato a partecipare, apportando il proprio contributo in base alle proprie capacità, competenze e interessi. Ovviamente più grande è l’impatto di un’azione più questa necessita di sforzi: richiedere a Cina e India di rispettare gli accordi di questa COP e ridurre le emissioni di Co2 avrà sicuramente un impatto maggiore rispetto all’azione di un singolo cittadino.

Il cuore pulsante di questo cambiamento non si limiterà esclusivamente ai negoziati climatici, bensì risiederà nella nascita di un nuovo paradigma culturale dedicato alla sostenibilità e al benessere del nostro pianeta. Questo nuovo approccio si fonda su un concetto cardine: la responsabilità ambientale. Va al di là della mera consapevolezza, spingendo verso un coinvolgimento attivo e costruttivo nell’adottare stili di vita sostenibili. Questa evoluzione culturale non solo influenza le politiche globali, ma permea le nostre azioni quotidiane, trasformando le nostre scelte individuali in un contributo significativo verso un mondo più equilibrato e armonioso per le generazioni future. È una chiamata all’azione, un impegno a considerare l’ambiente come parte integrante delle nostre decisioni, guidando così una trasformazione profonda verso un futuro sostenibile e prospero per tutti.

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