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25 Maggio, 2022

Uno degli esercizi più stimolanti che mi capita di fare in aula – e non meno frequentemente nei progetti di assessment di Supply Chain – è porre i miei interlocutori di fronte ad un gruppo di obiettivi di performance.

Dopo averli descritti, chiedo loro: quali di questi sono i vostri order winner? Quale performance è il vostro marchio di fabbrica, il valore distintivo che volete sia associato al nome della vostra organizzazione? La puntualità? La flessibilità? La velocità? Il prezzo basso?

La domanda evidentemente può avere diverse risposte in base al tipo di azienda che si sta osservando: un produttore di macchine industriali avrà priorità diverse rispetto a chi realizza farmaci antitumorali, abbigliamento di lusso, birra o cemento. Ciò nonostante, è molto probabile che tra le risposte ci sia una delle seguenti affermazioni:

  • Noi vogliamo essere i leader su tutti gli indicatori di performance che hai menzionato
  • Noi abbiamo linee di prodotto diverse, con priorità distinte tra loro
  • Noi operiamo in segmenti di mercato diversi, con priorità distinte tra loro
  • Noi non sappiamo bene quali siano le priorità su cui puntiamo
  • Noi abbiamo indicatori di performance specifici per la nostra funzione, ma non vediamo il quadro d’insieme
  • Noi sappiamo chiaramente quali sono i nostri order winner, ma abbiamo obiettivi di funzione incoerenti con i goal strategici complessivi
  • I leader della nostra organizzazione ci chiedono di migliorare ogni anno i target

Supply Chain Strategy

Tutte le frasi che ho riportato evidenziano una delle varie dimensioni di complessità della Supply Chain: dover soddisfare esigenze diverse, mutevoli, talvolta inespresse, per poter contribuire al raggiungimento degli obiettivi di business complessivi. E’ possibile vincere questa partita?

La risposta è si, ma la via per arrivare alla soluzione non è un’autostrada: piuttosto una ferrata.

Sappiamo infatti che:

  • La Supply Chain Strategy supporta la strategia di business complessiva. Per poter svolgere questo ruolo, è importante avere un processo di deployment che permetta di disaggregare gli obiettivi strategici del business in obiettivi più specifici delle funzioni (e quindi della Supply Chain) – che possano garantire il corretto allineamento nelle funzioni e tra le funzioni, in una logica di processo
  • Per ragioni fisiche è molto difficile offrire performance eccellenti su tutte le dimensioni della Supply Chain, con un’unica struttura di filiera: come coniugare puntualità, saturazione delle risorse ed efficienze produttive? Oppure velocità, flessibilità e costi bassi? Una singola Supply Chain potrebbe non essere in grado di performare al massimo su tutte e ciascuna di queste dimensioni
  • Sempre per ragioni fisiche, la velocità con cui cambiano le Supply Chain difficilmente può essere la stessa che caratterizza l’evoluzione di fattori esterni – quali le preferenze dei clienti, le condizioni macroeconomiche, le normative, la lista dei competitor… –

D’altra parte, se non c’è chiarezza sugli order winner (ovvero le caratteristiche del prodotto o del servizio che rendono la nostra proposta di valore preferibile a quelle dei competitor, almeno agli occhi di uno specifico mercato obiettivo), difficilmente si potrà governare una Supply Chain in modo coerente con il vantaggio competitivo atteso.

Facciamo qualche esempio: se una banca intende porsi come leader per i servizi on-line offerti ai propri clienti retail, dovrà dedicare un numero ed un tipo di risorse diverse allo sviluppo di soluzioni digitali rispetto ad un competitor che invece vuole essere riconosciuto come business partner di piccole e medie imprese nel territorio di una regione dell’Italia centrale.

Oppure, un tier 1 del settore automotive dovrà disporre di strategie di gestione dei materiali molto diversi, a seconda che lavori con gli OEM – le cui linee di montaggio non possono essere fermate per mancanza di componenti, pena il pagamento di penali salatissime – oppure con distributori di ricambi aftermarket – i cui magazzini potranno essere più o meno “pesanti” a seconda del lead time offerto, dell’ampiezza di gamma disponibile o della copertura geografica -.

Già Seneca ci aveva ben spiegato che non esiste vento favorevole per un marinaio che non sappia dove vuole andare. Cosa ci può aiutare, quindi, ad orientarci nei mari tutt’altro che placidi di questi tempi?

La metodologia SCOR

La metodologia SCOR è un asset di valore in questo senso, soprattutto se utilizzata in associazione agli strumenti di benchmark.

Lo SCOR (Supply Chain Operations Reference) Model è un framework che ci aiuta a raccordare quattro dimensioni essenziali della Supply Chain:

  • Performance: il modo in cui misuriamo il successo
  • Processi: il modo in cui generiamo valore per i nostri clienti
  • Persone: il carburante che fa andare il motore di un’organizzazione
  • Practice: i metodi più comuni per gestire i processi in modo coerente con le prestazioni attese

Una delle prime cose che si apprendono quando si studia il modello SCOR è che una singola organizzazione può – e talvolta deve – avere diverse Supply Chain: ciascuna di esse sarà progettata in base alle performance che da essa ci si attende e che devono contribuire al vantaggio competitivo dell’organizzazione, rispetto al mercato cui quella specifica Supply Chain si rivolge.

Ciò richiede di fare scelte nette: identificare con chiarezza gli order winner e poi definire quali performance (e quindi quali metriche e quali KPI) dovranno dimostrarsi eccellenti. Solo a valle di questi due passaggi si potrà progettare, realizzare e governare la Supply Chain (o le Supply Chain) che dovranno mettere a terra queste performance: quindi, dalla strategia di business alla strategia di Supply Chain.

Lo SCOR contribuisce ulteriormente in questo percorso, attraverso due fondamentali elementi:

  • La standardizzazione
  • Il benchmark

La standardizzazione è un elemento fondante per lo SCOR: la possibilità di rifarsi ad una struttura predefinita per mappare i processi, per misurare le performance, per classificare le practice (emerging, best, standard) e le competenze è una valida – seppure a volte scomoda e faticosa – risposta all’illusione di essere unici e quindi, in quanto tali, di aver bisogno di soluzioni specifiche, inedite ed irripetibili.

Inoltre, la standardizzazione è propedeutica alla comparabilità: attraverso il modello SCOR si è nel tempo formato un database di aziende le cui performance sono misurate con metriche confrontabili. In questo modo è possibile riempire di significato frasi altrimenti vuote come “vogliamo essere leader di puntualità”: a che livello? In che relazione rispetto ai competitor della nostra industry? A quali costi?

Le capability di benchmark legato allo SCOR sono molto utili per identificare priorità coerenti per le metriche più significative rispetto agli obiettivi di business. Soprattutto, permettono di definire target realistici, che corrispondono effettivamente ad un livello di leadership, advantage o parity – per utilizzare la terminologia SCOR -, ovvero di posizionamento rispetto alle altre aziende del benchmark stesso.

E’ quindi da una corretta combinazione di formulazione strategica, identificazione di performance significative e definizione di target adeguati che ci si può attendere la chiarezza necessaria alle aziende per prosperare e per saper scegliere la strada giusta rispetto alle diverse possibilità che via via le si prospettano davanti.

La metodologia SCOR è uno dei possibili strumenti per raggiungere questo risultato.

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