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28 Marzo, 2024

Avviare un progetto di Supply Chain Transformation è – già di per sé – un compito piuttosto difficile. Le resistenze che probabilmente incontreremo saranno molte, ingenti e di varia natura: per questo è importante essere ben preparati, prima di iniziare a parlarne con altri stakeholder.

In queste righe, proponiamo 6 punti d’attenzione – e altrettante possibili soluzioni.

  1. Che vuol dire Supply Chain Transformation?

Per rispondere a questa domanda, dovremmo aver precedentemente chiarito cosa sia una Supply Chain. Ne abbiamo parlato e ne riparleremo: qui rammentiamo la definizione del dizionario ASCM: “The network of suppliers that deliver products from raw materials to end customers through either an engineered or transactional flow of information, goods, and money”. Quindi, fare Supply Chain vuol dire progettare e gestire al meglio il flusso di prodotti, denaro ed informazioni all’interno di una rete (tipicamente vasta e geograficamente dispersa) di soggetti. Trasformare la Supply Chain non vuol dire fare piccoli miglioramenti o introdurre un nuovo software: significa ripensare dalle fondamenta il modo attraverso il quale la nostra organizzazione “serve” la proposta di valore promessa ai clienti. Quindi, non un miglioramento incrementale, ma un cambio radicale.

  1. Perché è necessario trasformare la Supply Chain?

Non è detto che lo sia: alcune aziende sono già molto avanti, riescono a servire i loro clienti con puntualità, assecondando le loro esigenze anche con brevi preavvisi, seguendo le variazioni di domanda – sia in volume che in mix – senza creare traumi alle operations e alla filiera. Hanno buona visibilità della catena di fornitura a monte e non subiscono particolari problemi dalle perturbazioni che possono complicare l’approvvigionamento di materiali e componenti – sia in prossimità che da sorgenti lontane. E generano ingenti profitti dal loro business, tenendo a bada i competitor ed essendo percepiti come insostituibili dai loro clienti. Però queste aziende sono sempre meno e tipicamente investono moltissimo nelle loro Supply Chain, perché il mondo è tremendamente complicato ed il destino tipicamente avverso: guerre, pirati, crisi energetiche, protezionismo, pandemie, navi che abbattono ponti o si incastrano nei canali sono solo alcune delle complicazioni che possono abbattersi sulle nostre filiere. Saper essere agili e resilienti richiede attrezzature – fisiche ed immateriali – diverse da quelle del passato. Serve quindi trasformarsi.

  1. Da dove si comincia, per trasformare una Supply Chain?

Dalla fine. Ovvero dai clienti. Una prima domanda importante alla quale bisogna saper dare una risposta è: cosa esattamente vogliono i clienti da noi? Cosa si aspettano e cosa noi vogliamo promettere loro, per poter essere scelti e poi scelti di nuovo? Purtroppo la risposta non è sempre semplice. E soprattutto è raramente una sola: la stragrande maggioranza delle aziende ha più divisioni o business unit, serve diversi segmenti di mercato – con requisiti anche molto diversi tra loro – e non necessariamente ha approfondito – o condiviso al proprio interno – cosa sia indispensabile per competere (un order qualifier) e cosa sia vitale per battere i competitor (un order winner). La Trasformazione di una Supply Chain si rende necessaria quando, partendo dai bisogni dei clienti, si riesce a valutare il gap tra quello che dovremmo essere e quello che siamo, quello che dovremmo fare e quello che facciamo. È il gap a guidarci nella trasformazione: la stella polare per capire se ci serve una trasformazione digitale, un nuovo network design, un modello di business differente o una politica di inventory management radicalmente diversa, un programma di formazione…

  1. Come si definisce il perimetro di una Supply Chain Transformation?

La segmentazione dei clienti è essenziale per capire chi chiede cosa. Poi però è necessario segmentare le Supply Chain: quante ne servono e come devono essere progettate e gestite, per poter concretizzare la strategia di business e realizzare la value proposition?

Uno strumento molto utile per riuscirci è la Supply Chain Definition Matrix: una mappatura che collega da un lato i clienti/canali e dall’altro le famiglie di prodotto. In questo modo, con opportune valutazioni su quali elementi distinguano e caratterizzino le diverse proposte di valore per le diverse combinazioni, sarà possibile farsi un’idea più chiara del numero e del tipo di Supply Chain di cui si deve dotare la nostra organizzazione. Ad esempio: se produciamo componenti automobilistici e serviamo sia OEM che aftermarket, in diversi mercati geografici e con source diverse, quante Supply Chain ci servono? E che caratteristiche devono avere?

  1. Come si prioritizzano i progetti, nell’ambito di un programma di Supply Chain Transformation? Come si conquista la fiducia degli sponsor?

Per conquistare la fiducia e le risorse necessarie ad una Supply Chain Transformation è importante motivare l’iniziativa in modo efficace e quantificarne i benefici in modo robusto. Per farlo, è necessario investire tempo nella fase preliminare, con la quale costruire un business case.

Lo SCOR DS (Supply Chain Operations Reference Digital Standard) può aiutare: attraverso questo framework – gratuitamente accessibile al link www.scor.ascm.org – si possono identificare gli attributi di performance su cui una Supply Chain deve eccellere per realizzare la value proposition. Poi, ad esempio attraverso un benchmark, si possono quantificare i gap rispetto ai competitor, o comunque i target che è ragionevole darsi per poter eccellere (o anche solo essere confrontabili con gli altri). Da queste valutazioni potranno scaturire sia i benefici che è lecito attendersi, sia il costo e l’investimento che è necessario sostenere. Le conclusioni saranno più robuste e le decisioni potranno essere prese con più fiducia e consapevolezza.

  1. Come si portano in fondo i progetti di Supply Chain Transformation?

È molto importante avere leader esperti in trasformazioni: la loro competenza e la loro esperienza possono costituire un motore potente per garantire il supporto necessario all’iniziativa. Corsi e certificazioni – quale ad esempio la nuovissima CTSC (Certified in Transformation for Supply Chain) di ASCM – possono aiutare in questo senso.

È inoltre essenziale dotarsi di capaci project e program manager: la portata dei programmi di Supply Chain Transformation è notevole, coinvolge molti stakeholder – spesso esterni all’azienda – e muove ingenti capitali (sia monetari che umani). La capacità di governare questa complessità è un requisito imprescindibile per riuscire a portare a termine la missione. Anche in questo ambito, certificazioni come la PMP (Project Manager Professional) del PMI possono aiutare a costruire il livello di competenza interna che serve.

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