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15 Febbraio, 2021

Due settimane fa ho condotto la prima lezione di un corso sui fondamenti di Supply Chain Management presso un nuovo cliente: un’azienda di medie dimensioni nel settore della meccanica. Partecipavano una ventina di persone ed abbiamo iniziato – come al solito – dal confermare gli obiettivi del corso e le aspettative di ciascun partecipante.

Era presente il CEO dell’azienda, che con un gesto di notevole valore simbolico, ha partecipato alle lezioni con interesse. Proprio lui mi ha subito fatto la madre di tutte le richieste: “vogliamo che questo team abbia le idee chiare su cosa sia la Supply Chain”.

Non è una domanda insolita e lo conferma Abe Eshkenazi, CEO di ASCM – l’associazione internazionale che da oltre mezzo secolo rappresenta il riferimento per l’intera comunità professionale della Supply Chain. Abe afferma senza mezzi termini in un recente articolo: “Qualsiasi professionista di Supply Chain vi dirà che noi passiamo un sacco del nostro tempo a spiegare ad altri cosa facciamo. Questo perché, nonostante esistano molti scritti sulla supply chain, non sono molte le persone che ne capiscono l’essenza.”

Questa premessa mi impone un’introduzione al concetto di Supply Chain e alle diverse declinazioni che esso può avere in termini di ruolo – e conseguentemente delle competenze necessarie.

Chi è un Supply Chain Manager e perché è difficile definirlo?

Chi si occupa (e chi gestisce) Supply Chain deve essere preparato e lavorare su tre flussi principali:

  • Materiali
  • Informazioni
  • Denaro

Non solo: deve saperlo fare in una prospettiva “end-to-end”, ovvero considerando un perimetro largo di attività. Non necessariamente ricadranno tutte sotto la sua totale ed esclusiva responsabilità, ma certamente impattano sul centro di gravità di ogni business: il cliente finale.

L’APICS dictionary così definisce la Supply Chain: “The global network used to deliver products and services from raw materials to end customers, through an engineered flow of information, physical distribution and cash”.

Basterebbe questa definizione per affascinare (o scoraggiare) eserciti di giovani ambiziosi e desiderosi di fare carriera. E non è tutto: nel maturity model di una Supply Chain, il livello di base (ovvero quello che peggio non si può, in una scala di 5) è quello in cui il Supply Chain Manager va a casa contento perché per quel giorno nessuno (clienti, fornitori, colleghi di altre funzioni) si è lamentato. Chi è o è stato Supply Chain Manager lo sa: quell’ufficio è spesso un gabinetto di guerra perennemente convocato, nel quale si devono risolvere emergenze e problemi senza soluzione di continuità.

Quindi, un mestiere tecnicamente complesso, ampio e multidisciplinare, che richiede competenze anche molto al di fuori rispetto alla propria sfera di responsabilità diretta.

  • Un Supply Chain Manager non si occupa di marketing. Ma non può ignorare gli order winner della propria azienda, ovvero il vantaggio competitivo – per dirla con le parole di Porter – che porta il nostro prodotto ad essere preferito rispetto a quello dei competitor. Che ne sarebbe di lui, infatti, se per ottimizzare il costo del trasporto non tenesse in considerazione l’importanza della puntualità di una consegna alla linea di montaggio di un OEM?
  • Né il nostro Supply Chain Manager si occupa di finanza. Ma non può certo trascurare l’effetto del costo di finanziamento della sua azienda: se pensasse soltanto alle esigenze della produzione e delle vendite, un po’ più di stock aiuterebbe ad aumentare le efficienze e a far salire il fatturato. Ma quanto costerebbe il peggioramento del cash flow?
  • Probabilmente il Supply Chain Manager della nostra azienda non negozia contratti con i fornitori, né è esperto di IT. Ma dovrebbe essere capace di spiegare ai fornitori i vantaggi di una piattaforma di Supplier Relationship Management e la necessità di scambiare dati in modo tempestivo, completo e – naturalmente – corretto, affinché la pianificazione dei materiali possa evitare ad entrambe le aziende rischi operativi e finanziari che vanno ben al di là del puro progetto IT di cui si sta parlando.

Questo esempio, fra mille che se ne potrebbero descrivere, fa emergere tre aspetti chiave che voglio approfondire singolarmente.

Quali sono le 3 competenze chiave di un Supply Chain Manager?

Un Supply Chain Manager deve avere tre abilità chiave: la competenza tecnica, la vista end-to-end e l’approccio cross-funzionale.

1. Competenza tecnica

Il responsabile di Supply Chain e Logistica di una grande azienda del settore Food & Beverage è stato il primo ad insegnarmi che chi stava seduto al suo posto dovesse essere prima di tutto autorevole: un dono che richiede prima di tutto credibilità circa la competenza d’ambito.

Il Supply Chain Manager deve essere molto preparato sulla sua materia. Qui bisogna distinguere i tipi di business, perché la competenza verticale è molto legata alla specifica filiera nella quale si lavora. Nelle realtà per le quali la componente industriale e manifatturiera sono prevalenti, il Supply Chain Manager deve essere molto forte sui temi di Planning: dal Demand Planning & Forecasting al Master Production Scheduling, dalla gestione dell’MRP al Capacity Planning, il nostro deve avere grande dimestichezza con il flusso dei materiali all’interno dello stabilimento. Deve saper mappare il valore (ad esempio tramite le Value Stream Map) e gestire al meglio i colli di bottiglia, per garantire puntualità di consegna senza penalizzare le efficienze o eccedere con le scorte.

Nei business dove la parte industriale è prevalentemente di assemblaggio, il Supply Chain Manager dovrà essere un grande orchestratore di filiera: lavorando molto con i fornitori e senza trascurare il project management, dovrà governare al meglio il flusso inbound del materiale per garantire una corretta sincronizzazione. Anche lui dovrà essere ossessionato dalla puntualità della consegna, ma rischierà scorte elevate, vie aeree e molti mal di testa se non saprà portare a bordo i fornitori in modo coordinato.

Chi lavora principalmente sulla distribuzione, ovvero su ciò che accade dopo la produzione, dovrà essere competente nell’area della logistica ed in particolare nella gestione dei trasporti (che secondo molti studi rappresentalo la quota principale del costo di distribuzione), dei magazzini fisici e nell’import-export. Dovrà conoscere le tecniche e gli strumenti di network design, perché le esigenze distributive cambiano velocemente e bisogna saper fare in modo rapido ed efficace l’analisi what-if della footprint attuale e di quella future.

Per tutti saranno indispensabili alcune competenze comuni: l’Inventory management, il Lean Thinking ed il Sales & Operations Planning. È molto probabile infatti che, qualunque sia l’azienda in cui lavora, il Supply Chain Manager debba tenere sotto controllo (o ridurre) le scorte e debba ridurre il lead time, il che richiederà una profonda conoscenza della dinamica dell’inventory e la più ampia comprensione dei concetti – apparentemente controintuitivi – della Lean.

Infine il Sales & Operations Planning, processo principe di pianificazione e raccordo ideale tra funzioni, indipendentemente dal comparto industriale in cui si opera. Il che ci porta al secondo aspetto chiave: la vista end-to-end.

2. Vista end-to-end

Il Supply Chain Manager, a mio modo di vedere, deve essere eccellente nella capacità di sintesi e nella vista d’insieme: le filiere, infatti, sono un sistema assai articolato e saperne cogliere il senso complessivo senza rimanere intrappolati nei dettagli è una qualità indispensabile.

La vista end-to-end permette al Supply Chain Manager di “connettere i punti” e intuire immediatamente quali saranno le conseguenze di una perturbazione in un qualunque step del flusso del materiale: sia essa un reparto dello stabilimento, un fornitore, una nave in ritardo o un ordine grande ed inatteso sotto lead time.

Per eccellere in questa dimensione bisogna essere competenti in alcuni processi cross-funzionali ed in alcuni ambiti multidisciplinari. Il Sales & Operations Planning è un ottimo esempio di processo cross-funzionale: richiede la sintesi tra domanda, risorse produttive/logistiche e stock, in un’ottica di medio periodo. Oltre che conoscenza tecnica di Supply Chain, richiede competenze finanziarie e di demand management, due esempi di ambiti multidisciplinari che in generale non saranno sotto la responsabilità di un SC Manager.

Altra competenza essenziale in questo ambito è il risk management: abbiamo ormai tutti capito che la complessità del mondo globalizzato richiede la capacità di gestire i rischi e questo vale soprattutto per il Supply Chain Manager, che deve rendere la propria filiera più resiliente possibile in caso di anomalie. Il tema del risk management si collega direttamente al concetto di sourcing e quindi alla capacità di gestire al meglio le strategie di approvvigionamento, distinguendo le filiere di alimentazione in base all’impatto e alla criticità che hanno rispetto al core business aziendale.

3. Approccio cross-funzionale

Poco sopra ho indicato il Sales & Operations Planning come un processo chiave per il Supply Chain Manager: secondo molti studi, la gran parte della sua difficoltà non è tecnica, ma relazionale e di change management, perché dovendo mettere d’accordo funzioni diverse della stessa azienda, bisogna essere bravi nell’arte del trade-off.

Vengo quindi al tema delle soft skill: asset imprescindibili per ogni Supply Chain Manager. La capacità di gestire bene i conflitti, di risolvere problemi, di individuare e negoziare la soluzione migliore sono solo alcuni esempi in questo senso. Il ruolo di Supply Chain Manager espone sistematicamente un professionista alla relazione con funzioni diverse all’interno della propria azienda, ma soprattutto con clienti e fornitori. Oltre naturalmente che con il proprio top management. Sono necessarie quindi grandi qualità di comunicazione efficace, per poter portare tutti a bordo nel miglior modo possibile.

Infine, un Supply Chain Manager deve saper essere un vero leader: come ho detto all’inizio, dovrà guidare una squadra che lavora spesso sotto pressione e dovrà saper prendere decisioni in tempi brevi, sapendone delegare molte al proprio team. Dovrà essere autorevole sia con loro che con i colleghi pari grado. E dovrà far stare tranquilli i capi, che spesso ricopriranno ruoli apicali in azienda: al termine di ogni giornata lavorativa, una bella fetta del conto economico e del cash flow dipenderanno da lui.

Per avere maggiori dettagli, consulta:

Modello delle competenze – Responsabile della Supply Chain

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