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30 Novembre, 2020

Il mondo è sempre più complesso, ma la nostra capacità di farvi fronte è limitata.

Siamo ormai costantemente bombardarti da molte più informazioni di quelle che il nostro cervello, da solo, possa gestire e per questo siamo portati a cercare soluzioni semplici, rimuovendo o semplicemente ignorando le implicazioni delle nostre azioni che non sono direttamente riconducibili al nostro obiettivo iniziale. Se a questo si aggiunge una maggiore inclinazione a considerare solo gli effetti di breve periodo delle nostre azioni, ecco pronta la ricetta per il disastro.

Ma procediamo per gradi: cosa vuol dire complessità e perché gli strumenti tradizionali non offrono sufficiente supporto nel trovare soluzioni adeguate?

Un sistema si definisce complesso quando possiede tre caratteristiche principali:

  • molteplicità – ovvero esistono tanti attori che agiscono e prendono decisioni sul sistema
  • interdipendenza – ovvero quanto questi elementi (attori) sono legati tra di loro
  • diversità – ovvero quanti questi elementi sono diversi in termini di comportamento, obiettivi e decisioni.

Più grande è il numero di elementi da considerare, maggiore la loro varietà e più questi sono interdipendenti, più il problema risulta complesso.

Ma cosa comporta tutto ciò?

Le decisioni che si prendono e le soluzioni che si cercano devono essere contestualizzate: non si può pensare alla decisione da prendere solo perché si ha ben chiaro l’obiettivo da raggiungere, ma bisogna saper adattare le proprie decisioni al contesto in cui ci si trova.

In sostanza, in ambito di complessità, ha successo chi tiene in considerazione il condizionamento di possibili cause esterne, e soprattutto chi conosce e sa interpretare come le proprie azioni modificheranno lo stato del sistema – i cosiddetti feedbacks effects.

Rientra in tale contesto la Supply Chain: una rete (molteplicità) finalizzata a distribuire prodotti e/o servizi, dal fornitore al cliente finale (varietà), attraverso un flusso organizzato di materiale, informazioni e denaro (interdipendenza). Il tutto nel continuo sforzo di bilanciare fabbisogni e risorse a disposizione.

Ora, invece, pensate a come vengono prese la maggior parte delle decisioni nella vostra azienda, come vengono pianificati investimenti, o definite azioni migliorative alla produzione, alla distribuzione o come viene identificata una corretta politica di inventario? Con quali strumenti? Sono sicuro di non sbagliarmi se credo che la maggior parte di voi abbia pensato od utilizzi dei fogli di calcolo per lo scopo. Non fraintendetemi, non ho niente contro Excel, ma sostanzialmente lo ritengo non sufficiente a rappresentare la complessità intrinseca che esiste in ogni supply chain.

Ognuno di noi riflette nel suo “foglio Excel” il proprio modello mentale ma non avendo modo di replicare la dinamica del sistema, ricade nella tentazione di semplificare il problema, isolandolo, omettendo feedbacks, ritardi temporali e accumuli ignorando di fatto tutta la complessità in cui lo specifico problema è calato.

Già da diversi anni esistono strumenti di simulazione molto più potenti che consentono di modellare un sistema da un punto di vista sperimentale (replicando il funzionamento di diversi processi concatenandoli insieme) catturarne la dinamica e vederlo evolvere in un tempo virtuale.

Modelli di simulazione sono alla base di classici esempi di letteratura con i quali, ad esempio, è stato studiato il fenomeno noto in supply-chain con il nome di “Bullwhip effect”; oggi gli stessi concetti li ritroviamo in molti strumenti con cui vengono erogati corsi avanzati di supply-chain management e che insegnano, simulando, come gestire una supply chain e come “il gioco di squadra” può rilevarsi fondamentale per il successo di un’impresa.

I modelli di simulazione restano l’unica strada affidabile e a basso costo per testare ipotesi decisionali e valutarne gli effetti (anche nel lungo periodo).

Negli anni abbiamo aiutato manager di grandi aziende a realizzare modelli di simulazione che li aiutassero a valutare correttamente gli impatti delle loro decisioni strategiche sull’intero ecosistema aziendale.

Oggi riteniamo che i tempi siano maturi per realizzare strumenti che aiutino anche a monitorare costantemente le performance dei processi e a prendere azioni correttive tempestive valutando “off-line” gli impatti che esse produrranno nel tempo.

Un modello di simulazione così dettagliato da abilitare queste capacità viene oggi definito Digital Twin, gemello digitale, proprio per indicare la stretta connessione tra queste soluzioni e l’asset fisico a cui si riferisce. Grazie alle nuove tecnologie, i dati che vengono raccolti in tempo quasi reale dal campo alimentano il digital twin e consentono di ottenere una fotografia aggiornata dello stato di funzionamento del sistema da cui partire per testare diversi scenari decisionali in un ambiente privo di rischi.

Il concetto di Digital Twin è stato originariamente teorizzato nel 2002, all’Università del Michigan, nel contesto del Product Lifecycle Management (PLM). Anche se la terminologia è cambiata nel tempo, il suo significato è rimasto piuttosto stabile. Esso si basa sull’idea che un sistema fisico possa essere ricreato in digitale attraverso le informazioni e le logiche che lo caratterizzano.

I due sistemi, fisico e digitale, rimangono strettamente accoppiati durante l’intero ciclo di vita ed evolvono insieme. Le informazioni elaborate dalla copia digitale si configurano come “gemelle” delle informazioni del sistema fisico. Il vantaggio risiede nel fatto che, in condizioni ideali, qualsiasi informazione che si possa ottenere dall’analisi di un bene o da un processo reale possa essere ottenuta attraverso l’interrogazione del suo gemello digitale.

Pertanto, il Digital Twin è definito come un insieme di informazioni virtuali che descrivono completamente un prodotto, un sistema o un processo fisico, permettendo di valutarne lo stato o il funzionamento attuale e futuro.

Indipendentemente dal livello di astrazione, un Digital Twin è un’immagine digitale più o meno definita di un sistema fisico, che aiuta a monitorare e ottimizzare le performance aziendali quasi in tempo reale.

Secondo gli analisti di Gartner, i risultati mostrano che i digital twin stanno lentamente entrando nell’uso mainstream. Gartner prevede che entro il 2022 oltre due terzi delle aziende che implementano l’IoT avranno installato almeno un digital twin in produzione. E che quel numero potrebbe essere anche raggiunto addirittura entro un anno.

Benché solo il 13% degli intervistati affermi di utilizzare già digital twin, il 62% o è in procinto di implementare la tecnologia o ha intenzione di farlo nel prossimo anno. Tale rapida crescita nell’adozione di questa tecnologia è dovuta all’intensa attività di marketing e formazione da parte dei vendor ma anche al fatto che i digital twin offrono business value e sono diventati parte delle strategie digitali.

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