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23 Dicembre, 2020

La sostenibilità della Supply Chain è una priorità nell’agenda delle grandi multinazionali negli investimenti del 2021, ma le ricadute riguardano da vicino anche le piccole e medie imprese.

Stavo leggendo il mio blog preferito sui temi di Supply Chain Management, cercando di capire quali orientamenti di investimento prevalessero e quali priorità avrebbero raccolto più budget nei prossimi anni: mi sono imbattuto nella cifra monstre di 3,6 miliardi di dollari su cui si è impegnata Nestlè. Obiettivo? Raggiungere zero emissioni nette entro il 2050.

Immaginate uno scenario, probabilmente molto prossimo, in cui i grandi clienti iniziano a chiedere azioni in questo senso anche a piccole imprese loro fornitrici. Siete preparati su temi di prospettiva? Di quali effetti risentirebbe la vostra Supply Chain?

Ebbene, qui non si tratta di immaginare scenari: la sostenibilità non è più una strategia di sola promozione e dovrà rientrare al più presto tra le priorità di ogni impresa, qualunque sia la sua dimensione.

Zero emissioni e tattiche di Supply Chain a budget: il caso Nestlé

Nestlé ha annunciato di mettere a budget 3,6 miliardi di dollari nei prossimi 5 anni per raggiungere l’obiettivo di tagliare le proprie emissioni del 50% entro il 2030 e di raggiungere le “net-zero emissions” entro il 2050.

Non mi colpisce soltanto l’entità dell’investimento e l’ambizione del traguardo, ma la ricaduta dell’iniziativa sulla Supply Chain di questo enorme gruppo.

Nel primo modulo del nostro corso APICS CPIM (Certified in Production and Inventory Management) il tema della sostenibilità è toccato spesso, ma in due punti specifici trovo una corrispondenza forte tra le best practice e questa notizia:

1. La sostenibilità funziona quando è parte della formulazione strategica di un’organizzazione

La strategia di un’azienda è sempre incentrata sul cliente e qui Nestlé dichiara che incrementerà il numero di aziende a zero emissioni, perchè questo é sempre più un valore per il cliente quando compra un prodotto.

2. La relazione “convenzionale” con i fornitori riguarda qualità, specifiche, total cost of ownership ecc. Ma in un’ottica di supply chain diventano sempre più importanti fattori quali la partnership e la sostenibilità

Nestlé investirà molto nel rapporto con i fornitori: ad esempio con gli agricoltori per coinvolgerli in un programma che renda sostenibile la coltivazione, la raccolta, il confezionamento ed il trasporto delle materie prime. Prima ancora della trasformazione.

Cos’è la sostenibilità oggi?

Il tema della sostenibilità, quindi, non è più né una moda per promuovere un marchio, né un accessorio della relazione tra un cliente ed un fornitore: ne diventa elemento qualificante. La capacità – anche da parte di una piccola azienda – di perseguire la tripla bottom line (Profitti, Pianeta, Persone) può essere un elemento vincente agli occhi di un grande attore che, come tutti i channel master di una filiera, ha la forza per orientarne la forma, il disegno e la gestione.

Gli investimenti, stando alle dichiarazioni di Nestlé, saranno finanziati principalmente attraverso “operational and structural efficiencies”: di fatto, forme di spreco che oggi caratterizzano i processi diventeranno fonti di finanziamento per alimentare un business più pulito e più sostenibile.

Il concetto di trasparenza

Un altro elemento che ha suscitato il mio interesse riguarda il concetto di “trasparenza” dell’iniziativa: non è la prima volta, infatti, che grandi aziende hanno preso impegni che poi non sono state in grado di concretizzare. D’altra parte, un programma di cambiamento che si dà un obiettivo a 30 anni non è facile né da immaginare, né da progettare, né tantomeno da attuare: quante cose cambieranno in tre decenni? Quante tecnologie innovative rivoluzioneranno il nostro modo di realizzare prodotti, di trasformarli e – ovviamente – di consumarli? Ha davvero senso impegnarsi in qualcosa che dovrà accadere in un futuro così lontano – non solo in termini strettamente cronologici?

A dicembre 2050 mio figlio avrà da poco superato la trentina e probabilmente sarà padre a sua volta: quel mondo sarà il mondo dove mio nipote vivrà i primi anni della sua vita e – indipendentemente da quanto sia difficile immaginarselo oggi – è necessario lavorare subito perché quel mondo sia migliore di quello di oggi.

Per questo, fa bene Nestlé a dichiarare che sarà “trasparente“: svilupperà una tabella di marcia fatta di tappe fondamentali concrete che potranno essere monitorate non solo dal suo management ma anche da chi la guarda da fuori. Quindi osservatori, specialisti e – naturalmente – consumatori. In questo modo l’azienda vuole proporre un piano credibile ed impegnarsi a realizzarlo.

Queste le parole del CEO, Mark Schneider: “Tackling climate change can’t wait and neither can we. It is imperative to the long-term success of our business. We have a unique opportunity to address climate change, as we operate in nearly every country in the world and have the size, scale and reach to make a difference. We will work together with farmers, industry partners, governments, non-governmental organizations and our consumers to reduce our environmental footprint.

Conclusioni e ottimismo

La copertina del Time del 14 dicembre è stata dominata da una croce rossa sul numero 2020: “the worst year ever”. È successo solo altre quattro volte nella storia del settimanale (la prima, nel 1945, in occasione della morte di Adolf Hitler) il che ci da una misura dell’enfasi con la quale vogliamo lasciarci alle spalle un anno molto duro.

Ma non tutto è da buttare.

Nell’articolo di Supply Chain Dive, fonte principale di informazioni per questo pezzo, si evidenzia il nesso tra il coronavirus e la crescente sensibilità dei consumatori rispetto ai temi di sensibilità ambientale: è difficile dimostrarlo, ma se un contributo – anche minimo – ci fosse stato, il 2020 non si sarebbe alla fine rivelato un anno da dimenticare.

Prepariamoci quindi con ottimismo al 2021.

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