Su Toscana24, il periodico de “il Sole 24 Ore” dedicato alla regione Toscana, un nuovo intervento di JPS.
Paolo Napoli si concentra sulla tematica dei Big data a favore dell’innovazione nelle Pmi: se la politica di sostegno da parte dello Stato può ridurre il capitale necessario, l’azienda deve comunque riuscire a farne scaturire un adeguato ritorno. Occorre quindi molta attenzione nella scelta della tecnologia più adatta o, per meglio dire, più allineata agli obiettivi strategici e alle caratteristiche proprie dell’azienda.
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A gennaio ho partecipato all’inaugurazione di un’academy collegata al concetto di industry 4.0 ed ho ascoltato con grande interesse l’intervento di Antonio Marcegaglia – CEO del gruppo omonimo – sul tema delle nuove tecnologie digitali applicate alla sua azienda (24 stabilimenti, fatturato 2017: 5 miliardi di euro). La manifattura italiana però è quasi completamente costituita da Pmi: come declinare i medesimi concetti su realtà di scala inferiore?
La quarta rivoluzione industriale è ancorata alle tecnologie digitali. Una famiglia numerosa con genitori noti: la connessione tra gli oggetti e tante informazioni disponibili. I dispositivi raccolgono e scambiano dati, che possono essere elaborati per prendere decisioni (magari da una macchina).
Anche le Pmi sono un insieme molto assortito. Limitandosi al manifatturiero, c’è di tutto: dal piccolo pellettiere ai subfornitori della meccanica, dal produttore di vino al mobilificio. Quindi non c’è un’applicazione unica per tutti, ma alcuni filoni si possono identificare: innovazione di prodotto, di servizio e di processo.
L’innovazione di prodotto è appannaggio di coloro che progettano ciò che vendono: qui la tecnologia digitale può offrire strumenti per ridurre il time-to-market, il costo della prototipazione, la comunicazione con altri soggetti che concorrono alla progettazione nella stessa filiera.
L’innovazione del servizio a corredo del prodotto ha un potenziale anche per le aziende che non progettano: penso alla possibilità di tracciare in modo più efficace il prodotto e le materie prime, anche in questo caso in una logica di singola azienda o di filiera. Altro esempio tra mille, il service che può essere offerto dopo la vendita raccogliendo più dati di campo, oppure innovando la modalità di comunicazione e interazione tra cliente e produttore.
Infine, l’innovazione di processo è quella utile per tutti: la tecnologia digitale può migliorare il processo produttivo in sé, ottimizzando le performance delle macchine o fornendo strumenti di monitoraggio e diagnosi più efficace alle persone che le usano; ma può aiutare moltissimo anche nella gestione della produzione: basti pensare all’enorme volume di dati già oggi raccolti anche dalle aziende più piccole, oltre a quelli che possono arrivare dai nuovi asset.
Saper trarre un senso da questi numeri può essere un vantaggio competitivo di per sé: è il tema dei “big data”, rilevante anche per le “small company”.
Il piccolo e medio imprenditore peraltro sa bene che ogni investimento porta con sé un rischio: industry 4.0 non fa eccezione. Se la politica di sostegno da parte dello Stato può ridurre il capitale necessario, l’azienda deve comunque riuscire a farne scaturire un adeguato ritorno. Occorre quindi molta attenzione nella scelta della tecnologia più adatta o, per meglio dire, più allineata agli obiettivi strategici e alle caratteristiche proprie dell’azienda. Ad esempio, per incrementare il vantaggio competitivo è prioritario ottenere un incremento di produttività o deliziare il cliente con un prodotto migliore? Entrambe le opzioni sono promettenti: l’importante è scegliere la tecnologia digitale più funzionale al raggiungimento dello scopo.
PAOLO NAPOLI
Partner JPS, APICS Master Instructor of Training
CFPIM, CSCP, CLTD, CS&OP