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24 Gennaio, 2022

Ho fatto un esperimento utilizzando Google: quanti risultati compaio quando eseguo una ricerca relativa ad alcune espressioni che mi interessano?

Outcome: al primo tentativo, “Covid” ha prodotto oltre tre miliardi di risultati, più o meno quanto “global warming”. Supply Chain circa la metà (1,3 miliardi).

Poi ho cercato “Digital Supply Chain” e – sorpresa per me – ne ho trovati di più: oltre 1,6 miliardi di risultati.

digitalizzazione supply chain

Digital: keyword o buzzword?

Non sono un esperto e quindi non azzardo ipotesi sul funzionamento dei motori di ricerca, ma questo piccolo gioco mi ha fatto riflettere su quanto l’attributo “digital” vada ormai a braccetto con tutto o quasi. Negli ultimi sei mesi dell’anno scorso ho partecipato a due assessment di “digital supply chain” e in questo inizio d’anno mi sto occupando ancora dello stesso argomento, esteso al “digital manufacturing” (per altre due aziende): insomma, il cuore dell’industria 4.0, nella sua dimensione di integrazione orizzontale (di filiera) e verticale (nel plant).

D’altra parte, la cosa non può sorprendere: se la chiusura per qualche giorno di un porto in Cina per contenere la diffusione di un piccolo contagio può alimentare una perturbazione sensibilmente maggiore nei mercati occidentali, abbiamo disperatamente bisogno di strumenti che ci permettano di avere informazioni “near real time” sui flussi di materiali per poter orchestrare di conseguenza piani di produzione, distribuzione, promesse ai clienti ecc.

Il “digital” è un megatrend?

Secondo Gartner sì: stando ai dati del report “Future of Supply Chain – 5 Changes for Supply Chain Leaders to Act on Now ”, il primo dei 5 trend di cambiamento che saranno al centro dell’attenzione dei CSCO nel futuro prossimo è la digitalizzazione della Supply Chain. Con numeri incredibili: il 23% dei supply chain leader intervistati si aspetta di avere un “digital ecosystem” entro il 2025, ma solo l’1% ritiene di averlo ora! In pratica, un’azienda su cinque si occuperà di questo argomento e ci investirà del budget.

(Nota a margine: altre due delle 5 priorità riguardano fenomeni legati al digital: l’e-commerce ed il ricorso sempre più esteso allo smart working).

Digitalizzazione e industria 4.0

Ho voluto approfondire il tema con qualche lettura nel periodo delle feste ed ho divorato il testo di Gualtiero Fantoni, Annamaria Natelli e Marcello Braglia intitolato “Costruire l’impresa intelligente. L’imprenditore consapevole lo fa meglio”: un libro sull’industria 4.0, che mi ha fatto riflettere su alcuni aspetti che potrei sintetizzare in questo semplice elenco puntato.

  • Alla base di ogni progetto di digitalizzazione ci deve essere consapevolezza, prima di tutto attraverso un’adeguata comprensione del punto di partenza: fare un assessment approfondito è molto importante perché aiuta a rilevare l’attuale stato di maturità delle tecnologie esistenti. Ma non solo: in base agli obiettivi di business che si hanno in mente (altro esercizio utile da fare: definirli) si possono meglio identificare i gap e le priorità.
  • Una roadmap è indispensabile. Non serve solo ad identificare gli step da fare per digitalizzarsi, ma anche – direi soprattutto – gli obiettivi che ogni fase della digitalizzazione dovrà permettere di ottenere: ci accontentiamo di aumentare la visibilità nei nostri processi o vogliamo anche tracciare ciò che succede al di fuori dello stabilimento? Ci basta comprendere – attraverso l’analisi dei big data – quali segnali anticipano la necessità di una manutenzione, oppure vogliamo essere capaci di fare stime e previsioni sulla base di queste informazioni – ad esempio stimare l’effetto di una perturbazione sulla filiera inbound, l’effetto del lancio di un nuovo prodotto, la correlazione tra un fattore esterno macroeconomico e la curva di phase out di un prodotto nel nostro catalogo -?
  • Il lean thinking può aiutare, come in molti altri ambiti, ad indirizzare i progetti verso il massimo valore. Ciò è applicabile anche al caso della digitalizzazione, che deve puntare all’eliminazione di ciò che “appesantisce” il prodotto o il processo (il waste) a vantaggio di ciò che ne costituisce l’essenza (il valore). Ricordo ancora lo stupore di aver letto le preveggenze di Womack e Jones quando negli anni ’90 scrivevano della possibilità futuribile di ridurre le code negli aeroporti attraverso tecnologie – ancora ignote – attraverso le quali stamparsi a casa le carte d’imbarco: non serviva un software più potente o una stampante più veloce per stamparli in aeroporto, ma un processo diverso, snello e concentrato sul valore per consentirne l’efficientamento. Seppure abilitato da nuove tecnologie.
  • La digitalizzazione cambia il lavoro e ciò che è richiesto ad un lavoratore, anche a livello di middle management. Le imprese digitali hanno bisogno di skill specifici, certamente ad alto contenuto tecnologico. Ma hanno anche – forse soprattutto – bisogno di persone che conoscano bene i processi, che sappiano interpretare i bisogni veri dell’organizzazione e che possono aiutare gli analisti (ad esempio i data scientist) nella ricerca della giusta soluzione. Le competenze hard sono essenziali, ma da sole non bastano: spesso quindi il risultato può essere raggiunto soltanto attraverso team multidisciplinari integrati, capaci di mettere a fattore comune competenze complementari: c’è bisogno di Business Scientist (ovvero un incrocio tra Business Analyst e Data Scientist).
  • La scelta delle giuste tecnologie, anche in base allo scope (integrazione verticale oppure orizzontale) è importantissima e diventa poi più tecnica: IIOT, Big Data & Analytics, Machine Learning ed Artificial Intelligence, Simulazione e Digital Twin, Realtà aumentata, Advanced ed Additive Manufacturing diventano il cuore del progetto. Qui emerge tutta l’importanza del lavoro fatto prima, in sede di analisi, e la scelta di partner tecnologici capaci di portare veramente valore in base alla definizione degli obiettivi e alla consapevolezza delle difficoltà che si possono incontrare. Il limite tra un progetto di successi ed un fallimento può essere superato con facilità e l’aiuto statale in certe tecnologie può aiutare a sbagliare strada.

Il digital è quindi giustamente al centro dell’attenzione: le tecnologie – sia di raccolta dati, sia di elaborazione, sia di connettività, sono oggi più disponibili e più accessibili; gli skill – seppure ancora molto ricercati – sono più facilmente reperibili nel mercato; la letteratura e le esperienze di progetto non mancano.

Il compito di rendere la parola “digital” una keyword e non una “buzzword” è solo nostro, quindi: probabilmente affidato alla nostra voglia di studiare e di approfondire ciò che appare intuitivo ma che in realtà è molto più complesso di quanto sembri a prima vista.

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