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22 Giugno, 2021

Per un consulente, partecipare a progetti importanti in contesti internazionali può essere un’esperienza molto sfidante, ma anche un’opportunità di crescita professionale e personale.

Per quanto mi riguarda, a distanza di qualche anno ricordo nitidamente la mattina in cui varcai i cancelli di uno degli stabilimenti di una grossa multinazionale per iniziare il mio primo giorno su un progetto molto grande e molto complesso, in cui non avrei avuto nessun collega più esperto a coprirmi le spalle.

Il mio incarico sarebbe stato quello di assistere il Project Manager gestendo la schedulazione di progetto, ricoprendo una posizione che dall’inizio del progetto (avviato poche settimane prima) era rimasta vacante.

Il progetto viveva un momento complicato: il top management aveva richiesto una compressione della durata complessiva pari a dodici mesi. Il mio primo compito, quindi, sarebbe stato quello di modificare l’ultima versione della schedulazione (un piano di 3000 attività) in modo da recepire tale richiesta, e presentarla al team di progetto entro la fine del mese.

Per quanto le sfide mi abbiano sempre appassionato, confesso che al termine di quella giornata lasciai lo stabilimento con un certo sconforto: riuscire a portare a termine quel primo compito nei tempi richiesti e in un contesto difficile mi sembrava un’impresa superiore alle mie capacità.

Quella stessa sera, a cena nel ristorante dell’albergo, mi ricordai uno dei primi insegnamenti che avevo ricevuto all’inizio del mio percorso professionale, e che cercavo di applicare ogni volta che mi trovavo in difficoltà: “Quando ti senti perduto, riparti dalla teoria”.

Così, davanti ad un abbondante piatto di pasta, scarabocchiai sulla carta del tovagliolo i passi che avrei seguito dal giorno successivo per raggiungere il risultato richiesto.

  1. Ciò che non è necessario, è necessario non farlo

La schedulazione che avevo ereditato non recepiva ancora la riduzione dell’ambito di progetto che si era resa necessaria per poter anticipare la data di fine progetto: per prima cosa si trattava quindi rivedere la schedulazione per eliminare quelle attività atte a realizzare lavoro non più incluso nell’ambito.

Decisi che nella revisione avrei adottato un approccio a finestra mobile, lasciando ad un livello di dettaglio elevato soltanto le attività appartenenti ad un orizzonte di breve/medio periodo, e sintetizzando quelle più lontane nel tempo (che avrei dettagliato in seguito).

  1. Serie o parallelo?

Una volta definita la lista delle attività, il passo successivo consisteva nella revisione delle relazioni di precedenza che le legavano, e che definivano la sequenza con cui sarebbero state completate: l’obiettivo era quello di individuare eventuali opportunità di modifica della sequenza che permettessero di anticipare la fine del progetto.

In questo esercizio era fondamentale il contributo dei responsabili delle varie attività: soltanto loro, infatti, avevano l’esperienza e le conoscenze necessarie per determinare se, ad esempio, due attività inizialmente previste in serie potevano essere eseguite, almeno parzialmente, in parallelo (fast tracking).

  1. It’s all about duration, duration, duration…

La riduzione della durata del progetto passava inevitabilmente anche per la revisione delle stime di durata delle sue attività: era quindi necessario, congiuntamente con i responsabili di ciascuna attività, valutare la possibilità di ridurre il tempo per completarla (elapsed) senza ridurre il lavoro da eseguire (effort), partendo dalle attività appartenenti al percorso critico (cioè la sequenza di attività dall’inizio alla fine del progetto che ne determina la durata).

Un simile esercizio è tutt’altro che semplice: le persone, sentendosi misurate in relazione alla loro capacità di rispettare le scadenze, tendono ad adottare un approccio prudente nella stima delle durate, inserendo implicitamente un cuscinetto di tempo per cautelarsi da eventuali imprevisti. Il risultato è una schedulazione sovrastimata, in cui aumentano gli effetti negativi di comportamenti per cui, ad esempio, si tende a concentrare il lavoro nella parte finale della durata delle attività (Sindrome dello studente) o a “riempire” la durata dell’attività con lavoro non a valore (Legge di Parkinson).

In questo caso, la teoria mi suggeriva di stimare le durate su valori medi, cautelandomi da eventuali rischi di ritardo sulla data di completamento mediante l’inserimento, all’interno della schedulazione, di opportuni buffer temporali (che, essendo esplicitati, potevano essere modificati nel corso del progetto, a seconda delle esigenze).

Infine, per ridurre la durata di alcune attività era necessario valutare la possibilità di aggiungere delle risorse (crashing) in modo da poter completare lo stesso effort in un elapsed minore.

  1. Schedula, controlla, ripeti

L’ultimo passo consisteva nella verifica della schedulazione rispetto alla capacità disponibile delle risorse, considerando il loro impegno simultaneo sulle varie attività del progetto e, eventualmente, di altri progetti interni all’azienda.

Dalla verifica della capacità sarebbero emersi quei casi in cui il carico richiesto dalle risorse eccedeva la capacità disponibile (sovrallocazione), che dovevano essere risolti modificando la schedulazione (variando la durata e/o le date di inizio/fine delle attività), anche a costo di modificare le attività del percorso critico e, quindi, la durata del progetto. Questa eventualità avrebbe reso necessaria una nuova revisione delle attività, della loro sequenza e delle loro durate, fino a quando tutti i vincoli di progetto (in termini di tempo e di risorse) non sarebbero stati rispettati.

Quello che mi aspettava era quindi un processo iterativo, in cui avrei dovuto ripetere tutti e quattro i passi descritti fino a quando non avessi soddisfatto le aspettative del top management.

Mandai giù l’ultimo boccone di pasta, mi infilai in tasca il tovagliolo e tornai in camera, confortato dal fatto che, ancora una volta, la teoria mi aveva fornito la bussola per orientarmi nella complessità.

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